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La "raggiera" era un simbolo distintivo importante, uno status symbol, che permetteva alle donne di manifestare la loro condizione all’interno della società (nubile, fidanzata, sposa, madre).

LLa raggiera, detta anche "cuazz" o "sperada" è un ornamento del capo femminile, utilizzato dalle donne sposate o "da marito". Le sue origini sono incerte, ma era sicuramente in voga nel 600-700 periodo al quale si riferiscono i costumi dei Bej.

Quella di Alessandro Manzoni, nei Promessi Sposi, è molto probabilmente, la più antica citazione dell’uso della raggiera. Questa particolare acconciatura ornamentale - come dice lo stesso Manzoni - era ancora in voga nell’800. Se escludiamo infatti il richiamo manzoniano (i fatti del romanzo sono datati 1628), non abbiamo notizie certe dell’impiego della raggiera quale ornamento femminile anteriormente al XIX secolo. Eppure sembra che essa possa essere una lontana evoluzione degli antichi spilloni di osso dell’età del bronzo, ritrovati nelle torbiere brianzole e, più tardi, degli “aghi crinali” usati dai romani e ritrovati nelle necropoli lombarde risalenti al II sec. d.C. (note del ricercatore Stefano Motta – Alfa Edizioni)

La raggiera si compone di diverse unità:

  • uno spillone con due pomoli ovali alle estremità - detto "spúntón" o "güggión" (in dialetto milanese significa “grosso ago”) - che veniva infilato nelle trecce che una “ragazza da marito” raccoglieva per la prima volta sulla nuca.
  • gli spilloni, propriamente detti “spadine” (spadénn, in dialetto), molto ben lavorati e decorati, che venivano regalati dal fidanzato, in numero proporzionale all’età, alla ragazza quando si ufficializzava il fidanzamento. Da quel momento la ragazza era considerata una “promessa sposa”. Le ragazze infatti avevano per usanza di portare i capelli sciolti che venivano raccolti per la prima volta con lo "spúntón" - appunto - quando all’orizzonte appariva un fidanzato “cunt i spadénn” ("con gli spadini");
  • altri spilloni con la punta arrotondata, a forma di cucchiaino - detti appunto "cügiarétt", ma anche "fuseii" (dai fusi del telaio per filare la seta) o, più prosaicamente "spazzaúrécc" (nettaorecchie) - venivano regalati dallo sposo il giorno del matrimonio e, successivamente, in altre occasioni speciali come la nascita di un figlio o particolari anniversari da ricordare.
I capelli venivano prima divisi a partire dalla fronte e tirati indietro (ecco che appariva la riga netta della cute, la “sottile e bianca dirizzatura” di cui parla Manzoni), per essere poi raccolti alla base della nuca. La coda ottenuta veniva divisa per formare due lunghe trecce. Gli spilloni venivano poi conficcati nella pettinatura, insinuandoli negli interstizi dell’intreccio in due cerchi doppi composti dietro la testa dalle due trecce prima annodate. Le punte degli spilloni andavano quindi a conficcarsi nella radice comune delle due trecce che veniva legata radente al capo.

Il numero complessivo degli spilloni variava in funzione dell’età della promessa sposa e, come si può facilmente intuire, dalle disponibilità economiche della famiglia. Lo sposo si impegnava ad arricchire l’ornamento, fino ad un massimo di 45/47 spilloni (sempre dispari), per un totale di circa 600 grammi di argento. Per tutto questo insieme di motivi, la "sperada" finì dunque col diventare un simbolo distintivo importante, uno status symbol, che permetteva alle donne di manifestare la loro condizione all’interno della società (nubile, fidanzata, sposa, madre) e, per questo, le ragazze più povere rinunciavano anche ai beni di prima necessità, ma non alla "sperada"!

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